“BLACK
TAPE” PRESSROOM
Intervista
de "il manifesto"
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/31-Marzo-2003/art110.html
«Black tape», la sfida delle immagini nel cuore
di Teheran
Fariborz Kamkari racconta il suo primo film, un viaggio intimo
nella comunità invisibile dei curdi iraniani. «La
guerra? Nessuno crede che gli Usa combattano per la democrazia»
CRISTINA PICCINO
ROMA
Il film d'esordio, Black tape, è stato una rivelazione,
lo hanno presentato lo scorso anno a Venezia (proiezione così
nascosta che quando lo ricorda è ancora incredulo), è
stato premiato in molti altri festival internazionali e il Moma
di New York lo ha voluto per il «New Films-New Directors».
Non solo. La sceneggiatura del suo nuovo lavoro, Seyf-o-Allah.
The Sword of God (ma il titolo è provvisorio) è
stata selezionata dall'esigente Laboratorio del Sundance Institute.
Lui, il regista, si chiama Fariborz Kamkari, è cresciuto
nel Kurdistan iraniano, a Sanadaj, vive a Teheran, ha alle spalle
(pure se ha trentadue anni) diversi cortometraggi e serie tv,
oltre agli studi di teatro all'università, e nel suo
lavoro c'è già in potenza massima una nuova onda
del cinema iraniano, quelle del dopo Kiarostami o Makhmalbaf
ai quali comunque guarda, ancora più estremista nella
ricerca di una perfetta miscela tra fiction e realtà.
Black tape, sottotitolo The videotape Fariborz Kamkari found
in the garbage però in Italia non lo vedremo. Finora
infatti nessun distributore ha avuto la lucidità di lanciarlo
sul mercato, perchè è un film forte, intelligente
e appassionante dove la ricerca si fonde con una narrazione
fluida e aperta. Leggiamo nelle note del regista: «alle
12.58 di sabato 11 maggio 2002, un'ora dopo che la polizia aveva
rastrellato le strade dell'area destinata ai profughi, ho trovato
questo film nella spazzatura ...». Il film, produzione
indipendente, a basso costo e fuori dalle regole, come ama dire
Kamkari anche se con regolari permessi delle autorità,
diventa subito «il film di qualcun altro», le immagini
con cui un altro ha voluto impressionare il proprio quotidiano.
Cioè la giovane protagonista, Goli, una ragazza curda
fuggita da una guerra imprecisata, venduta quasi bimba a un
militare iraniano oggi potente uomo d'affari che l'ha violentata,
poi sposata per chiuderla in casa come in galera. Lei fuma di
nascosto ma soprattutto studia inglese e in rete cerca informazioni
sui massacri dimenticati del suo popolo, fermando con una videocamera
l'intimità dei suoi giorni. Fiction e realtà insomma
in una relazione dichiarata ma sottile fino a scivolare talvolta
nella sovrimpressione.
Il soggetto, spiega il regista, si ispira al milione di curdi
fuggiti poco prima della Guerra del Golfo in Iran, per paura
di altri attacchi chimici iracheni, e spariti nel silenzio.Gli
stessi attori hanno tutti vissuto situazioni vicine a quelle
raccontate. Nel profondo c'è la guerra, nella sua essenza
di devastazione che non sono i morti o le bombe ma è
quel qualcos'altro di solito offuscato, cioè sradicamento,
soprraffazioni, miseria, identità culturale. Un po' come,
di nuovo in modo non diretto nel progetto a cui Kamkari sta
lavorando (coproduzione Iran-Italia-Francia). Stavolta si parla
dell'Afghanistan, anche se lo spunto è un fatto reale
accaduto in Iran qualche anno fa, un serial-killer che uccideva
prostitute in una delle città sante. Tutti sapevano chi
fosse, padre di famiglia irreprensibile, nessuno lo fermava,
ne avevano fatto un «angelo sterminatore». Nel film
di Kamkari diventa una ragazzo, un ventennne afghano educato
nelle scuole islamiche in Pakistan - «le stesse che gli
Stati uniti hanno finanziato per addestrare i talebani. É
una generazione cresciuta con la guerra, non conosce altro,
morire è normale come uccidere» dice il regista
che incontriamo negli uffici del coproduttore italiano, la Faroutfilms.
«Black tape» allude a una guerra di cui
esplori gli effetti mai raccontati che sono però realtà
attuale. Oggi stiamo vivendo un'altra guerra che come sempre
è anche guerra di informazione.
Qual è in Iran, e nella comunitò curda, la sensazione
rispetto a quanto accade?
FK-Una cosa è certa , nessuno crede
o ha mai creduto che fosse una guerra per la democrazia. Se
così fosse gli americani sarebbero dovuti intervenire
molto tempo fa, quando è stato creato artificialmente
l'Iraq o almeno quando Saddam Hussein ha massacrato migliaia
di curdi. Ci sono ovviamente ragioni economiche, di controllo
dell'area... Penso anche che l'interpretazione dei media, specie
in occidente, sia un po' semplicistica. Oggi Saddam Hussein
è diventato un eroe pure tra chi non lo appoggiava, tra
chi a nord o a sud cercava di combatterlo. É una reazione
di orgoglio ed è sorprendente vedere un fronte comune
tra culture e credo religiosi così diversi, sunniti,
sciiti, arabo-sunniti... Persino chi è stato vittima
di Saddam come i curdi, oggi si trova in un dilemma enorme:
non può stare dalla sua parte ma nemmeno schierarsi con
chi invade il paese. Anche se non sono riusciti a trovare un
punto di accordo, i diversi gruppi curdi nella no-fly zone hanno
costruito in dieci anni una democrazia. É incredibile
la differenza che c'è tra loro e l'Iraq. Oggi si trovano
come alleato degli americani l'esercito turco, e tutti i curdi
sanno cosa è accaduto in Turchia, dove è proibito
persino dichiararsi curdo. Un ragazzino di docidi anni che a
scuola ha rivendicato la propria identità è stato
messo in prigione. So che già 50 000 profughi stanno
cercando di fuggire in Iran.
Che situazione vive lì la comunità curda? Dal
tuo film sembra molto dura...
FK-Penso che sia comunque la migliore rispetto
a Turchia o Iraq. I problemi sono quelli che esistono tra una
maggioranza e una minoranza come ovunque nel mondo. I gruppi
dominanti tendono a soffocare le minoranze nazionali, specie
se queste non hanno potere, soldi, media. Tra i curdi e il governo
iraniano la situazione di tensione va avanti da anni. Ecco perché
in Blank tape non ho voluto specificare la guerra che ha vissuto
il personaggio di Goli - l'attrice si chiama Mehdi Asadi - ,
è una condizione che fa parte nella nostra Storia, che
fonda la nostra memoria da sempre. Lei cerca di costruirla.
Quando nell'89 è arrivato un milione di profughi curdi
in Iran, donne, vecchi, bambini, li abbiamo visti in tv e il
giorno dopo erano spariti. Cosa gli è successo? Goli
colleziona ritagli di giornali, cerca contatti in rete, vuole
andare oltre l'immagine televisiva che si ferma ai fatti quando
sono notizia, poco dopo non esistono più.
La forza del film comunque sta proprio in questo «gioco»
dichiarato di specchi tra realtà e finzione.
FK-É anche la sfida delle nuove tecnologie
che permettono di entrare nella realtà. Grazie alla telecamera
digitale posso andare vicino a una donna nella sua intimità,
mostrarla col marito nella stanza da letto o mentre si spoglia,
tutte cose proibite dal codice di censura iraniano. Però
queste immagini devono avere una ragione, altrimenti anche la
tecnologia perde di senso, si limita al reportage tv. Nel caso
di Blank tape è la scelta di affidare a Goli-Mehdi lo
sguardo del film. Abbiamo fatto fare riprese a tutti gli attori
e poi abbiamo cercato di girare utilizzando il loro punto di
vista... C'è un'adesione che è distanza e vissuto
al tempo stesso perchè visto che non erano professionisti
era molto difficile creare un rapporto se non sentivano di essere
liberi. Così la casa è la vera casa del marito
come l' automobile, e tutti loro hanno vissuto realtà
molto simili a quelle dei loro personaggi.
Viene da pensare al cinema di Kiarostami...
FK-Sono cresciuto con quei film, è naturale
che ci siano influenze. Però vorrei sviluppare questa
esperienza estremizzandola.
Il tuo prossimo film, «Seyf-o-Allah» rimanda
ancora a una realtà di guerra, pure se sempre in modo
non diretto, stavolta l'Afghanistan...
FK-Mi interessava capire la generazione dei
ventenni in quel paese, chi è cresciuto senza vedere
nulla al di fuori della guerra. Conosco un po' quel clima, da
ragazzino ho vissuto la rivoluzione iraniana e poi la guerra
tra Iran-Iraq. E le dinamiche del giovane serial-killer che
uccide in nome della morale mi aiutano a riflettere anche sull'Iran.
In che senso?
FK-Oggi l'Iran vive un momento complesso ma
anche molto ricco. É una paese in trasformazione e dal
profondo non come all'epoca dello scià quando vedevi
ragazze in minigonna e donne col chador, la gente che nei villaggi
non sapeva leggere e scrivere e la ricchezza di poche famiglie...
C'è molta distanza tra i giovani di venti- trenta anni
e la generazione che ha fatto la rivoluzione. Questi ultimi
provano a cambiare e però devono trovare il modo di farlo
continuando a seguire gli ideali per cui hanno combattuto. Prendiamo
l'esempio del serial-killer. Secondo l'ideologia religiosa tutte
le prostitute sono peccatrici ma non per questo possono essere
uccise. Il problema per loro è che molte regole si sono
pian piano rivelate astratte di fronte alla realtà, quindi
devono essere modificate. E però senza perderle.